Pagina:Iliade (Monti).djvu/474

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v.591 libro decimosettimo 141

Videlo alfine un suo compagno, il figlio
Dell’Emónio Laerce Alcimedonte,
Che dietro al cocchio si lanciò gridando:
Automedonte, e qual de’ numi il senno
Ti tolse, e il vano t’ispirò consiglio595
D’assalir solo de’ Troian la fronte?
Il tuo compagno è spento, e l’esultante
Ettore l’armi del Pelíde indossa.
   E a lui di Dïoréo l’inclita prole:
Alcimedonte, l’indole di questi600
Sempiterni corsieri, e di domarli
L’arte, chi meglio tra gli Achei l’intende
Di te dopo Patróclo in sin che visse?
Or che questo de’ numi emulo giace,
Tu prenditi la sferza e le lucenti605
Briglie, ch’io scendo a guerreggiar pedone.
   Spiccò sul cocchio un salto a questo invito
Alcimedonte, ed alla man diè tosto
Il flagello e le guide, e l’altro scese.
Avvisossene Ettorre, ed al propinquo610
Enea rivolto, I destrier scorgo, ei disse,
Del Pelíde tornar nella battaglia
Con fiacchi aurighi. Enea, se mi secondi
Col tuo coraggio, que’ destrier son presi.
Non sosterran costoro il nostro assalto,615
Nè di far fronte s’ardiran. - Sì disse,
Nè all’invito fu lento il valoroso
Germe d’Anchise. S’avvïâr diretti
E rinchiusi ambiduo nelle taurine
Aride targhe che di molto ferro620
Splendean coperte. Mossero con essi
Crómio ed Aréto di beltà divina,
Con grande entrambi di predar speranza
Que’ superbi corsieri, e al suol trafitti