Pagina:Iliade (Monti).djvu/493

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160 iliade v.218

Affamato lïon; così de’ forti
Aiaci la virtù da quell’esangue
Dispiccar non potea l’ardito Ettorre.220
E l’avría tratto alfine e conseguita
Immensa gloria, s’Iride veloce,
A Giove occulta e a ogni altro iddio, dall’alto
Olimpo non correa col vento al piede
Messaggiera ad Achille; e la spedía,225
Per eccitarlo alla battaglia, il cenno
Dell’augusta Giunon. Gli parve al fianco
Improvvisa la Diva, e questi accenti
Fe’ dal labbro volar: Sorgi, Pelíde
Terribile guerriero, e di Patróclo230
Il cadavere salva. Intorno a lui
Ferve avanti alle navi orrida pugna
Con mutue stragi. In sua difesa i Greci
Fan che puossi: per trarlo in Ilio i Teucri
S’avventano di punta. Il fiero Ettorre235
Innanzi a tutti di rapirlo agogna,
Bramoso di mozzar dal dilicato
Collo il bel capo, e d’un infame tronco
Conficcarlo alla cima. Alzati, e pigro
Più non giacer. Ti tocchi il cor vergogna240
Che de’ cani di Troia il tuo diletto
Debba le sanne trastullar. Se offesa
Ne riceve la salma, è tuo lo smacco.
   Rispose Achille: E quale a me de’ numi
Ti manda ambasciatrice, Iri divina?245
   Mi manda, replicò la Dea veloce,
Giunon, di Giove glorïosa moglie,
Nè Giove il sa, nè verun altro iddio
De’ sereni d’Olimpo abitatore.
   Come al campo n’andrò, soggiunse Achille,250
Se in mano di color venner le mie