Pagina:Iliade (Monti).djvu/503

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170 iliade v.558

Tu dinanzi sollecita le poni
Il banchetto ospital, mentr’io veloce
Questi mantici assetto e gli altri arnesi.560
   Disse, e dal ceppo dell’incude il mostro
Abbronzato levossi zoppicando.
Moveansi sotto a gran stento le fiacche
Gambe sottili. Allontanò dal fuoco
I mantici ventosi: ogni fabbrile565
Istrumento raccolse, e dentro un’arca
Li ripose d’argento. Indi con molle
Spugna ben tutto stropicciossi il volto
Affumicato ed ambedue le mani
E il duro collo ed il peloso petto.570
Poi la tunica mise; ed il pesante
Scettro impugnato, tentennando uscío.
Seguían l’orrido rege, e a dritta e a manca
Il passo ne reggean forme e figure
Di vaghe ancelle, tutte d’oro, e a vive575
Giovinette simíli, entro il cui seno
Avea messo il gran fabbro e voce e vita
E vigor d’intelletto e delle care
Arti insegnate dai Celesti il senno.
Queste al fianco del Dio spedite e snelle580
Camminavano; ed egli a tardo passo
Avvicinato a Teti, in un lucente
Trono s’assise, e la sua man ponendo
Nella man della Dea, così le disse:
   Qual mai sorte t’adduce a queste soglie,585
O sempre cara e veneranda Teti,
In quell’ampio tuo peplo ancor più bella?
Troppo rado ne fai di tua presenza
Contenti e lieti. Or parla, e il tuo desire
Libera esponi. A soddisfarlo il grato590
Cor mi sospinge, se pur farlo io possa,