Pagina:Iliade (Monti).djvu/531

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198 iliade v.153

Perchè nullo da’ Teucri egli riceva
Questo dì nocumento. Abbiasi dopo
Quella sorte che a lui filò la Parca155
Quando la madre il partorío. Se istrutto
Di ciò nol renda degli Dei la voce,
Temerà nel veder venirsi incontro
Fra l’armi un nume: perocchè tremendi
Son gli Eterni veduti alla scoperta.160
   Fuor di ragione non irarti, o Giuno,
Chè ciò sconvienti, rispondea Nettunno.
Non sia che primi commettiam la pugna
Noi che siamo i più forti. Alla vedetta
Di qualche poggio dalla via remoto165
Assidiamci piuttosto, ed ai mortali
Resti la cura del pugnar. Se poscia
Cominceran la zuffa o Marte o Febo,
E rattenendo Achille impediranno
Ch’egli entri nella mischia, e noi pur tosto170
Susciteremo allor l’aspro conflitto,
E presto, io spero, dal valor del nostro
Braccio domati, per le vie d’Olimpo
Ritorneranno all’immortal consesso.
   Li precorse, ciò detto, il nume azzurro175
Verso l’alta bastía che pel divino
Ercole un giorno con Minerva i Teucri
Innalzâr, perchè a quella egli potesse
Riparato schivar della vorace
Orca l’assalto allor che furibonda180
L’inseguisse dal lido alla pianura.
Qui co’ numi alleati il Dio s’assise
D’impenetrabil nube circonfuso.
Sul ciglio anch’essi s’adagiâr dell’erto
Callicolon gli opposti numi intorno185
A te, divino saettante Apollo,