Pagina:Iliade (Monti).djvu/549

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216 iliade v.84

Vedrem s’ei torna di là pure, ovvero
Se l’alma terra che ritien costretti85
Anche i più forti, riterrà costui.
   Queste cose ei discorre in suo segreto
Senza far passo. Sbigottito intanto
Licaon s’avvicina desïoso
D’abbracciargli i ginocchi, e al nero artiglio90
Della Parca involarsi. Alza il Pelíde
La lunga lancia per ferir; ma quello
Gli si fa sotto a tutto corso, e chino
Atterrasi al suo piè. Divincolando
L’asta sul capo gli trapassa, e in terra95
Sitibonda di sangue si conficca.
Supplichevole allor coll’una mano
Le ginocchia gli stringe il meschinello,
Coll’altra gli rattien l’asta confitta,
Nè l’abbandona, e tuttavia pregando,100
Deh ferma, ei grida: umilemente io tocco
Le tue ginocchia, Achille: ah mi rispetta;
Miserere di me: pensa che sacro
Tuo supplice son io, pensa, o divino
Germe di Giove, che nudrito fui105
Del tuo pane quel dì che nel paterno
Poder tua preda mi facesti, e tratto
Lungi dal padre e dagli amici in Lenno,
Di cento buoi ti valsi il prezzo, ed ora
Tre volte tanti io ti varrò redento.110
È questa a me la dodicesma aurora
Che dopo molti affanni in Ilio giunsi,
Ed ecco che crudel fato mi mette
In tuo poter: ciò chiaro assai mi mostra
Che in odio a Giove io sono. Ahi! che a ben corta115
Vita la madre a partorir mi venne,
La madre Laotóe d’Alte figliuola,