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82 ILIADE 140-169

140meonia, oppur di Caria, per fare le borchie a una briglia,
e giaccion poi riposte: vorrebbero assai cavalieri
averle; e quelle, invece, rimangon serbate al sovrano,
che se n’adorni il corsiere, che n’abbia fulgor chi lo guida:
cosí parvero tinti di sangue i tuoi femori saldi,
145o prode Atríde, i tuoi mallèoli schietti, e gli stinchi.
     E tutto abbrividí Agamènnone re degli Atrídi,
come dalla ferita sgorgar vide livido il sangue:
anch’egli abbrividí Menelao, quando fuor dalla piaga
i ganci e il fil mirò che la punta legava alla canna,
150l’alma gli refluí, con un tuffo improvviso, nel petto.
Ed Agamènnone re, levando un lamento doglioso,
disse, al fratello stringendo la mano; e piangevano tutti:
«Caro fratello, i patti per te furon patti di morte,
quando volesti, a pro’ degli Achivi, pugnar coi Troiani:
155t’hanno cosí colpito, franti hanno i lor giuri, i Troiani!
Vani però non sono né giuri, né sangue d’agnelli,
né libagioni, né le destre che a fede stringemmo:
perché, sebben puniti non li ha su l’istante il Croníde,
li punirà più tardi: dovranno essi stessi scontare
160a caro prezzo il fio, le loro consorti ed i figli.
Ché bene io questo so, me lo dicono il cuore e la mente;
giorno verrà che cadrà la rocca santissima d’Ilio,
e il re Priamo, e la gente di Priamo, di lancia maestro;
e Giove che dall’alto governa, il figliuolo di Crono
165a cui dimora è l’ètra, su tutti, a punire l’inganno,
l’ègida crollerà sua fosca: tal fine essi avranno.
Ma fiera ognor sarà per te, Menelao, la mia doglia,
se tu muori, se qui si compie il destin di tua vita.
E ad Argo sitibonda scornato io dovrò ritornare —