Pagina:Iliade (Romagnoli) I.djvu/234

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170-199 CANTO VIII 179

170Ed Ettore parlò, levando alte grida, ai Troiani:
«Dàrdani, Lici, Troiani valenti a combatter da presso,
uomini siate, amici, mostrate il valore guerresco!
So certo ch’ora a me, con cenno propizio, il Croníde
vittoria ed alta gloria promise, e cordoglio agli Achivi.
175Stolti, che a gran fatica levâr questa fiacca muraglia
che a nulla gioverà, che frenar non potrà la mia furia:
presto i cavalli miei balzeranno di là dalla fossa.
E quando sarò giunto vicino alle concave navi,
memoria abbia qualcuno di porgermi il fuoco funesto,
180si ch’io bruciare possa le navi, e i medesimi Argivi
spenti vicino ai legni procombano, oppressi dal fuoco».
     Cosí detto, ai cavalli parlò, disse queste parole:
«O Xanto, Etóne, e tu, Podarge, e tu, Lampo divino,
rendete a me la grazia che a voi con tal copia largiva
185la figlia d’Etïóne magnanima, Andromaca, quando
a voi prima che a me, frumento piú dolce del miele
porgea, vino mesceva, se brama di bere avevate,
prima di me, che pure mi vanto suo florido sposo.
Su via, movete insieme, lanciatevi a caccia, ché preda
190fare possiam dello scudo di Nèstore, ch’à tutti d’oro
— fama ne sale al cielo! — gl’imbracci e il medesimo piatto;
e dalle spalle poi del Tidíde, togliamo l’usbergo
cui fabbricò Vulcano, foggiò tutto vario d’intarsi.
Se questi due pigliamo, speranza nutro io che gli Achivi
195questa medesima notte dovranno scampar su le navi».
     Parlò con tale vanto; e molto fu d’Era lo sdegno.
Sul trono ella si scosse — die’ grande sussulto l’Olimpo —
e questi motti al Dio possente Posídone disse:
«Ahimè, Nume possente che scuoti la terra, nel seno