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XXXIV PREFAZIONE

l’arte escogitano argomenti per spiegarne e giustificarne le differenze1: troppo sono esse profonde. In ogni momento artistico c’è una corrente media che trascina tutte le manifestazioni, impedendo le divergenze troppo stridenti. Certe conquiste divengono, in certa misura, patrimonio comune. Al tempo di Fidia o di Polignoto, anche i piú umili ceramisti dipingono con garbo. E quando l’arte d’un paese produce opere come le coppe di Vafio o i pugnali di Micene, da nessuna officina escono piú lavori come la stele di marmo o le maschere funebri degli Atridi.

Eppure, sarebbe falso, credo, il giudizio che si limitasse a rilevare queste caratteristiche negative. Di fronte all’arte cretese o cretizzante, i nostri scarabocchi presentano anche notevoli caratteri precisi.

Prima di tutto, nei motivi. I fiori, le frondi, le farfalle, le alighe, le conchiglie, i molluschi diletti all’arte cretese, sono spariti, o si sono stilizzati, in formule triviali, quasi da impronte. L’interesse è tutto orientato verso la figura umana.

Poi, nei soggetti. Non piú giuochi né feste, ma quasi unicamente scene guerresche: il re trionfatore sul carro di battaglia, l’eroe caduto, la schiera dei guerrieri che muove al

  1. Il Perrot, per esempio, afferma che la scultura in pietra era in ritardo di fronte alla oreficeria (piú spiccio il Ciccotti, Storia Greca, 29: dove lo scultore falliva, trionfava l’orefice). Ma qui si tratta di ben altro che di ritardo. E poi, le maschere funerarie, sono, su per giú, nella medesima tecnica delle coppe di Vafio, eppure sono orrende, degne sorelle della stele. Neppure convince l’altra ipotesi del Collignon, che le figure della stele siano semplici abbozzi da completare mediante stucchi e pitture. Degli abbozzi avrebbero tutt’altro carattere.