Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/212

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110-139 CANTO XXI 209

110eppure, anche su me la Morte e l’indomita Parca
o all’alba, o a mezzo il giorno, o a vespero un dí piomberanno
quando la vita alcuno nel cuor della zuffa rapirmi
saprà con l’asta, oppure dall’arco lanciando uno strale».
     Questo egli disse; e all’altro mancarono cuore e ginocchia.
115Abbandonò la lancia, s’accosciò, protese le braccia
supplici; e Achille fuori traendo l’aguzza sua spada,
presso al collo colpí la clavicola, e tutta v’immerse
la spada a doppio taglio: Licàone giacque disteso
al suolo; e negro il sangue scorreva, e bagnava la terra.
120Achille per un piede lo prese, lo scagliò nel fiume,
che lo rapisse, e, imprecando, parlò queste alate parole:
«Rimani lí fra i pesci, che, senza pensare a sepolcro,
della tua piaga il sangue verranno a lambir: ché tua madre
te non porrà sul giaciglio per piangerti: sí lo Scamandro
125ti rapirà coi suoi gorghi nel grembo infinito del mare,
si lancerà, fra i guizzi dei torbidi flutti, uno squalo,
di Licaóne a cibare le candide polpe. Morite
tutti, sinché la sacra di Troia città non si espugni,
in fuga voi correndo, correndovi io dietro a sterminio.
130Né lo Scamandro dal corso veloce, dai gorghi d’argento,
vi salverà, per quante gli offriate ecatombi di tori,
o vivi ancor gittiate veloci corsieri nell’onde:
no, non per questo potrete sfuggire alla morte; ma tutti
espïerete di Pàtroclo il fine, e gli Achei che uccideste
135presso alle rapide navi, mentre ero lontano dal campo».
     Cosí disse. Ed il fiume s’accese per questo di sdegno;
e divisava come potesse d’Achille divino
fine alla zuffa porre, salvar dall’eccidio i Troiani.
Ed il Pelíde, intanto, vibrando la lunga sua lancia,