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238 ILIADE 259-288

     Ma lo guardò feroce, cosí gli rispose il Pelíde:
260«Ettore, dimenticare non so: non parlarmi di patti:
fra uomini e leoni non son giuramenti fedeli,
né lupi e agnelli i cuori potrebbero avere concordi,
ma senza tregua mai, l’un d’essi odia l’altro; e del pari
non si vedrà che tu ed io ci amiamo, e che patti giurati
265possano stringerci, prima che l’uno dei due morto cada,
e del suo sangue sazi l’invitta ferocia di Marte.
La tua prodezza tutta, sí chiama a raccolta: ché adesso
saldo a scagliar la zagaglia devi essere, e saldo alla pugna:
scampo per te piú non v’è: ché subito Pallade Atèna
270e la mia lancia t’avranno prostrato; e dovrai dei compagni
miei, che il tuo ferro trafisse, scontare le vite ad un colpo».
     Sí detto, alta librò, scagliò la lunghissima lancia.
Ettore la schivò, ché tenea fitti innanzi gli sguardi,
e si chinò, quando giunger la vide; e la lancia di bronzo
275gli volò sopra, e nel suolo s’infisse; ma Pallade Atèna
su la raccolse, e di nuovo la diede ad Achille. Né vide
Ettore; e queste parole rivolse all’invitto Pelíde:
«Hai pur fallito il colpo, divino Pelíde; né Giove
t’ha conceduto ancora veder la mia morte, per quanto
280n’eri sicuro; ma tu ciance accozzi, e t’industri a parole,
ch’io sbigottisca, e meno mi vengano e forza e coraggio.
Ma la tua lancia nel dorso tu no, non potrai conficcarmi:
piantala a me nel petto, ché incontro diritto io ti vengo,
se lo concede un Nume. Ma or la mia lancia di bronzo
285scansa a tua volta: potessi cosí tutta accoglierla in petto:
ché pei Troiani allora sarebbe piú spiccia la guerra,
quando tu fossi spento: ché il massimo cruccio tu sei».
     Sí detto, alta vibrò, scagliò la lunghissima lancia.