Pagina:Iliade (Romagnoli) II.djvu/290

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110-139 CANTO XXIV 287

110ché l’amicizia sua, l’amor, vo’ che sempre mi resti.
Súbito al campo va’, tal mònito reca a tuo figlio:
che sono irati i Celesti, ed io piú di tutti i Celesti
sono sdegnato, perché, nella furia che il cuore gl’invade,
non scioglie Ettore, e presso le concave navi lo tiene.
115Vedi s’egli abbia di me reverenza, se Ettore sciolga.
Ed Iri manderò, che al magnanimo Príamo imponga
recarsi ai curvi legni d’Acaia a disciogliere il figlio,
doni ad Achille recando che possano il cuore blandirgli».
     Disse cosí. Né fu tarda la Dea dall’argentëo piede,
120ma con un balzo, giú s’avventò dalle cime d’Olimpo,
giunse alla tenda del figlio. Gemeva e piangeva il Pelíde
dirottamente; e a lui d’intorno, i diletti compagni
erano tutti in faccende, la cena apprestando: immolata
entro la tenda una pecora avevano grande villosa.
125A lui sede’ vicino vicino la madre divina,
gli fece una carezza, lo chiamò per nome, gli disse:
«O figlio mio, sino a quando, gemendo cosí, dolorando,
il cuor ti roderai, senza al cibo pensar, né all’amore?
Con una donna è pure soave allacciarsi in amore:
130ché non mi camperai troppo a lungo, figliuolo, ma presto
saranno sopra te la Morte ed il Fato possente.
Ma presto dammi retta, ché io giungo aralda di Giove.
Dice che i Numi sono crucciati e piú ancora dei Numi,
egli è sdegnato, perché nella furia che il cuore t’invade,
135non sciogli Ettore, e presso le concave navi lo tieni.
Su via, scioglilo, e accetta pel corpo defunto il riscatto».
     E Achille, eroe dai piedi veloci, cosí le rispose:
«E sia cosí. Compensi mi rechi, e il cadavere prenda,
se veramente questo desidera e impone il Croníde».