egli attaccasse
un moccolo od accodasse una parolaccia. Io, queste
amenità, queste interjezioni, questi fregi della orazione,
per centomila bonissime ragioni, non le registro: anzi,
attenuo quante espressioni riferisco. Sennò, che si direbbe?
Suppliscan le Eccellenze de’ miei pratici lettori; ristabiliscan
Loro il testo schietto del monologo, ch’io
mutilo, mitigo. — «Sissignore, amica! Poffareddina, la mi
si protesta amica! La mi si protesta amica, corbezzoli! Io
mi credeva, che il vocabolo non potesse profanarsi più
di quel, che, ogni giorno, si faccia, prostituendolo ad incogniti,
ad indegni. Ma, Dio sagrato! la ci vuol tutta, per
grugnire ad uno, in faccia: ti sono amica, dopo avermi
fatto ciò, che questa Lombarda de’ miei stivali m’ha fatto.
Doveva venir da Milano, a correggere i costumi delle
Napoletane, pinzocheraccia, doveva! Con quella smania
focosa...» — Io scrivo focosa; ma Maurizio non adoperò
questo epiteto, anzi un improbo participio, che comincia,
esso pure per effe, o fo.
— «Con quella smania... di moralizzare, poteva starsi a
predicare, nel su’ paese, che, pare, a quanto dicono, che
ci sarebbe molto a fare. E questo porco sigaraccio, che
non vuol fumare, manco esso! Vatti a far... benedire, tu
e lei!» -