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Cicerone 113

senatori e dal popolo: Antonio stesso, per una spietata riparazione, consegnò il liberto delatore a Pomponia moglie di Quinto Cicerone, la quale, dopo squisiti tormenti, lo obbligò a recidersi da sè stesso brani della propria carne, cuocerli e mangiarseli. Ottaviano dovette sentirne, se non rimorso, indelebile vergogna: nessuno osava con lui nominar Cicerone; Orazio, lodatore universale, non ne fa pur motto: Virgilio, rammentando le glorie romane, concede alla Grecia il vanto di perorar meglio le cause. Un nipote di Ottaviano, sorpresa un giorno da esso colle opere di Tullio alla mano, s’affrettò a nasconderle; ma egli, preso il libro e scorse alquante pagine, glielo restituì dicendo: — Fu grand’uomo e amante la patria».


XIV.


Per noi è di conforto il vedere quest’oscuro Arpinate sorgere per forza d’ingegno sino a meritare il nome di padre della patria: a primeggiare in senato; ad emular inerme il trionfo de’ guerrieri, a subire la gloria d’un esilio, riguardato come pubblico lutto; ad acquistar potenza colla parola dove tant’altri se la procacciavano colle daghe e coi coltelli.

Che fin dalla sua prima gioventù egli si affezionasse a quella che tenea per causa della libertà, e che a sostenerla dirigesse tutta la sua politica quando si trovò in potere, appena si può dubitare1. A quest’effetto cercò, durante il consolato, congiungere l’Ordine senatorio e l’equestre, per farne una forte barriera contro la fazione democratica, da cui prevedeva, per consueta riazione, uscirebbe lo stemperato despotismo. A tal effetto pure, allorchè quasi tutto il suo Ordine correva furiosamente in guerra contro Cesare, protestò contro quella funesta risoluzione, prevedendo le medesime calamità per la repubblica, qualunque parte fosse riuscita vincente. Fin a che grado fosse in ogni occasione preparato a sacrificarvi la salute, la riputazione e gli averi, è un’altra quistione. Ad ogni modo, lo sventare la congiura di Catilina fu impresa che richiedeva almeno altrettanto

  1. Così press’a poco Hollings, The Life of Cicero, Londra, 1839. Mommsen mostra il più gran disprezzo per Cicerone, paragonandolo a un gazzettiere, e non riconoscendolo che come uno stilista.
CantùIllustri italiani, vol. I. 8