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cristoforo colombo 163

meridiano all’altro sia che si diriga a levante, sia che a ponente; e le due strade saranno complemento una dell’altra; talchè, se l’una oltrepassi i centottanta gradi, l’altra sarà minore, cioè più diretta. Su questa semplicissima argomentazione fondavasi Colombo.

Eratostene pel primo avea valutato che fra l’Iberia e le coste della Cina corressero ducenquaranta gradi, cioè dieci di più del vero. Strabone aveva adottato questo computo1: ma Marino da Tiro li restrinse a gradi centrentacinque; e Tolomeo, pur correggendolo, errò ancora di quarantun grado. In Tolomeo avea letto Colombo che la terra è divisa in ventiquattr’ore da quindici gradi ciascuna; quindici di essi erano già noti agli antichi da Gibilterra a Tina in Asia; d’un’altra s’erano inoltrati i Portoghesi; onde non ne restavano che otto, cioè un terzo della periferia terrestre. Da altri aveva raccolto che i mari fossero un settimo della parte asciutta. Non è dunque la terra così grande come il vulgo presume2; nè converrà gran fatto traversare dell’Atlantico per raggiungere l’altro estremo del continente dell’India, donde per terra si potrà ritornare in Europa. Seneca3, Plinio, Aristotele, Alfargan avevano detto bastar il viaggio di pochi giorni per arrivare dalla Spagna nell’India; e le relazioni di Marco Polo4 e di Mandeville attestavano che questa sporgeasi molto più innanzi che non si fosse ancora reputato. Anzi precisa-

    E già prima il Petrarca avea detto che il sole, partendo da noi, va «A gente che di là forse l’aspetta»; e più maestrevolmente Dante avea compreso la possibilità dell’abitare gli uomini tulio in giro al globo, ammettendo un centro di gravità del mondo, «punto a cui son tratti d’ogni parte i pesi».

  1. Strabone, nel secondo suo libro, parla con evidenza della circumnavigazione. — Avendo i matematici stabilito che il circolo si rivolge sovra sè stesso, se l’estensione del mar Atlantico non ci facesse ostacolo, noi potremmo, stando sotto al medesimo parallelo navigare dalla Spagna fino all’India».
  2. Lettera di Colombo ad Isabella.
  3. «Quantum est quod ab ultimis litoribus Hispaniæ aeque ad Indos jucet? Paucissimorum dierum spatium si navem suus ventus implevit». Quæst. nat.
  4. È singolare che Colombo non nomina mai questo viaggiatore, sebbene si riferisca sempre ai racconti di esso, i quali potea conoscere dalla lettera del Toscanelli, dai ragguagli di Nicola de’ Conti e dalle opere del cardinal Pietro d’Ailly: questo traeva le sue erronee convinzioni da frà Ruggero Bacone, che nell’Opus Majus le espone con gran calore.
    Ramusio ed altri dietro a lui vorrebbero mettere Marco Polo a fianco a Colombo. Ma nel Milione non è vestigio del genio che traspare ad ogni riga di Colombo, delle sue previsioni, delle argute induzioni, soprattutto dell’elevato entusiasmo.