Pagina:Jessie White La miseria di Napoli.djvu/35

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gl’ipogei. 21


Ma rientrando nel vecchio quartiere si giunse ad un vicolo in figura di scalinata; in fondo del quale la bocca aperta di una fogna esalava i più mefitici odori. Bambini quasi nudi vi brulicavano intorno, e all’ingiro case diroccate, nel cui pianterreno quella mefite permaneva come in proprio regno.

Presi alcuni dei bambini in braccio, essi serba vano appena sembianza umana; teste sproporzionate, occhi infossati, rachitici tutti, magri da inorridire.

Dalla scalinata centrale si diramano a destra altri scalini, ed io seguivo sempre la guida . Scesi o piuttosto scivolai. Egli fermandosi ad una apertura fece: «Ecco alcune delle spagare che in altri tempi abitarono le grotte.» M’introdussi in un sotterraneo col fango per pavimento, i muri fradici, e dal soffitto a’ volta grondava umidità . Ivi contai quindici esseri fra donne e bimbi chè chiacchieravano intorno ad un mucchio di paglia, ove giaceva col tifo una ragazza appena diciottenne, la faccia scolorata, le labbra annerite e delirante. Parlai con alcune di loro, le quali mi dissero essere otto famiglie differenti e quello l’unico alloggio per tutte; averle il Municipio snidate dalle grotte dando loro una mezza mesata, ossia lire cinque per famiglia. Soggiunsero di non posseder più ruote, ossia istrumenti per esercitare il proprio mestiere, ne avere altro lavoro, nè altri mezzi per campare la vita. E avrebbero potuto aggiungere, «nè speranza alcuna, salvo la morte.»

Quasi soffocata mi ritirai col cuore gonfio, pensando quanto sarebbe stato meglio averle lasciate sul Monte Calvario, ove almeno, se dovevano passare la