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un re umorista1

Diciamolo, via: ci vuol un po’ di coraggio a questi lumi di luna!... Non parlo, beninteso, del re, ma dell’autore, che ha scritto quelle tre parole in fronte al suo volume prima di mandarlo per il mondo. Corrono tempi così permalosi, è così accanita la rabbia di questo scorcio di secolo, come ebbe a chiamarla argutamente il Bonghi, che non mi meraviglierei punto se un dì o l’altro saltasse fuori qualche nuova cima d’ingegno con la scoperta peregrina che quel libro è una satira e l’autore un politicone della tempra più sottile. E allora, povero signore! avrebbe un bell’arrabbattarsi con le opere e con le parole per dimostrare il contrario; potrebbe magari morire per il trionfo della sua fede, non gli farebbero neanche la grazia di cinque minuti per ascoltarlo, ubriacati dall’ardore di procurargli a modo loro l’immortalità.

Ma Alberto Cantoni, avvezzo com’è ad anatomizzare i suoi polli prima di mangiarseli, dopo il titolo stuzzicante si trincera in un prologo poetico e forte come una rocca medioevale. Le memorie dell’incognito re gli sono promesse in un vagone di ferrovia

  1. Firenze; Barbèra, 1890.