Pagina:Jolanda - Dal mio verziere, Cappelli, 1910.djvu/183

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Non mi sovviene che d’uno stupore
immenso che quella pianura intorno
mi facea, così pallida in quel giorno,
e muta e ignota come il mio malore.

Non mi sovviene che d’un infinito
silenzio, dove un palpitare solo,
debole, oh tanto debole si udiva.

Poi veramente nulla più si udiva.
D’altro non mi sovviene. Eravi un solo
essere, un solo; e il resto era infinito.


Che ne dite? Io dico che se v’ha una persona capace di rimanere indifferente alla fine di questi versi, quella persona è più degna di compianto che disprezzo. È una diseredata.