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186 viaggio al centro della terra

— Giovinotto mio, credo che t’inganni.

— Come! non riconoscete i sintomi?...

— D’un terremoto? no, io m’aspetto di meglio.

— Che volete dire?

— Un’eruzione, Axel.

— Un’eruzione! dissi: noi siamo adunque nel camino d’un vulcano in azione!

— Così credo, disse il professore sorridendo, ed è la massima fortuna che possa toccarci.»

La massima fortuna! Mio zio era dunque diventato pazzo! Che cosa significavano quelle parole? perchè quella calma e quel sorriso?

«Come! esclamai, noi siamo in mezzo ad un’eruzione! la fatalità ci ha gettato sul cammino delle lave incandescenti, delle roccie infuocate, delle acque bollenti, di tutte le materie eruttive! Noi stiamo per essere respinti, espulsi, rigettati, vomitati, espettorati nell’aria, insieme coi massi di roccie, colla pioggia di ceneri e di scorie, in un turbine di fiamme; e questa è la nostra massima fortuna?

— Sì, rispose il professore guardandomi per di sopra ai suoi occhiali, poichè è il solo mezzo di ritornare alla superficie della Terra.»

Sorvolo alle mille idee che si avvicendarono nel mio cervello. Mio zio aveva ragione, assolutamente ragione, nè mai egli mi parve più audace, nè più convinto, di questo momento in cui aspettava tranquillo e misurava la probabilità d’un’eruzione.

Intanto salivamo sempre; passò la notte in siffatto movimento d’ascensione. Era evidente che noi eravamo portati in alto da una spinta eruttiva. Sotto la zattera vi erano acque bollenti e sotto le acque una pasta di lava, un aggregato di roccie, che giunto al sommo del cratere si disperderebbero in tutte le direzioni. Eravamo dunque nella strada d’un vulcano. Su ciò non v’era dubbio di sorta.

Ma questa volta invece dello Sneffels, vulcano spento, si trattava d’un vulcano in azione. Ora io mi domandavo quale potesse essere codesta montagna e in qual parte di mondo noi saremmo espulsi.

Nelle regioni settentrionali, non v’era alcun dubbio. Prima che impazzisse, la bussola non aveva mai variato e dal capo Saknussemm eravamo stati trascinati direttamente al nord per centinaia di leghe. Eravamo noi ritornati