«Al di là, dicea, il regno
Della notte comincia:
Chiudi tue brame, o core, 610Nella vallea natal.»
Così l’etade d’oro
Visse, e passò felice
Dalla capanna avita
De’ Numi alla magion.
615Ma per esser felice
L’uom non sembra creato:
Tosto superbia o fame
Strusse l’ameno error.
Un giovane, veggendo 620La miseria comune,
Disse: «Le gru, le rondini
Dove nel verno van?
Trovano esse sull’alte
Nostre montagne il cibo? 625Ma nel verno si cuoprono
Di neve insino ai piè.
Forse, chi ’l sa, que’ monti
Non son dell’orbe il fine!
Forse un’altra vallea 630Stendesi dietro lor!
Per me, non è l’istesso
Quaggiù, lassù morire.
Giacchè la cruda fame
Qui non si può schivar?
635Sulla cima de’ monti
Morendo, dei parenti
Io non vedrò le angosce,
Le mie nasconderò.»
Ei risoluto ascende 640Della montagna il fianco,
Eccolo sulla cima:
Numi, che mai trovò!
Altra ampissima e lieta
E doviziosa valle! 645Qui già mature messi
E là di Bacco il don!
«Sta allegra, valle avita!
Salverotti domani!
Di quel mondo novello 650Col superfluo verrò?»
Tu, Commercio, le valli
L’un’all’altra riunisti,
Ed un tempio comune
Esse a Cibele alzâr.
655Tu, Diva, d’un paese
L’uomo all’altro conduci,
Ne fai un sol lignaggio,
E insiem le unisci tu.
Felicità quaggiuso 660L’uomo trovar non puote,
Consolarlo volendo
Tu del mondo il fai Re: — —
Il mio sguardo s’inganna, ovvero scese
Sulla terra io rimiro le celesti 665Sfere in forme minor? Chè qui ti veggio,
Alma dell’orbe, o sole, in mezzo al chiaro
Tuo numeroso irradiato corteggio!
Sulle spalle di vecchi ancor robusti,
Rivestiti di clamidi brunotte, 670Vedesi scudo immenso che non splende1,