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     Già troppe volte è forza
     Che rigido dovere
     Crudelmente ne tolga
     I desiati amplessi.
     75Ah! rinunziar potessi
     Alla solenne pompa
     Di questo dì festivo,
     Ed alle preci e ai voti
     Delle turbe che stanno
     80Prostrate nella polve
     Del vasto tempio mio!
     Ecco già il fumo s’alza
     Dell’odorante incenso,
     I pronti sacrifizi
     85A te mi tolgon, caro!
     Mentre io starò nel tempio
     Della lontana Pafo
     Ad ascoltar i voti
     Delle adunate genti,
     90Inseguendo le fere
     Nelle selve t’allegra;
     Ma non espor tuoi giorni:
     Tu a me li devi. Pensa,
     Che non le turbe immense,
     95Non il solenne canto,
     Non le preziose offerte
     Potran che un solo istante
     Io dimentichi il dolce
     Amante riamato.»
100Così diss’ella e l’arco,
     Che per piacergli tratta
     Con inesperta mano,
     Gli rende e poi l’abbraccia.
     Si cinge il biondo capo
     105Del ricamato velo;
     Tarda e ritrosa ascende
     L’aurata conca, e lascia
     Ai baldanzosi cigni,
     Esperti del cammino,
     110Le redini, e rivolta
     A risguardare Adone,
     Sen va fendendo l’aura.
     Egli, coi lumi fissi
     Sulla partente Dea,
     115Sta pallido ed immoto,
     Quale candido marmo,
     Immagine del duolo.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Rallenta, o Diva, il volo
     De’ rapidi tuoi cigni!
     120Pasci, sazia ’l tuo sguardo
     Nel rimirar l’amante!
     Che tal, misera Dea,
     Qual tu lo lasci adesso,
     Più non lo rivedrai.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
125Allora che Ciprigna
     Era già in Pafo giunta,
     E che la dolce speme
     Nel magico suo speglio
     Al mesto Adon mostrava
     130Il rieder della Diva,
     Ei, di gloria bramoso,
     Così fra sè pensava:
     «E sia mai ver, che possa
     Tanto amarmi una Dea?
     135Venere, amar me, figlio
     Della terra e che spento
     Sarà forse dimane?
     Tu vuoi, Diva, ch’io goda
     La pace che ne accorda
     140Il placido destino.
     Ma al voler tuo, mia Diva,
     Sottopormi io non posso.
     Forza è ch’io m’esponga
     A un periglio che valga
     145Ad illustrar mio nome,
     Ond’ancor io mia sede
     Infra gli eroi ritrovi,
     Infra gli eroi che ’l volgo
     Simili ai Numi estima.
     150Qual è il mortal che attenti
     All’amor d’una Dea?
     Ed ancor fra le Dive