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praterie, l’industria del bestiame, la forza motrice, quelle terre diverranno una miniera d’oro». E si ebbe un bel ripetere che l’acquedotto doveva servire esclusivamente per acqua potabile; ma in fatto la legge votata e la relazione del 1902 del R. Ufficio speciale a questo acquedotto assegnano una portata di mc. quattro, più del doppio di quella che basterebbe a dotare di sufficiente provvista di acqua potabile gli abitanti delle Puglie, calcolata nello stesso progetto a mc. 1.7906; eccedenza che si propone poi di utilizzale nella produzione di forza motrice e per usi agricoli, nonchè per una derivazione per Taranto, la quale città possiede un acquedotto di portata sufficiente e che si può anche agevolmente accrescere, raccogliendo acqua sotterranea. Tutto ciò importa una spesa assai maggiore di quella necessaria, quando fosse assolutamente dimostrato, come crediamo che di fatto non lo sia, che si debba rinunciare ad ogni speranza di utilizzare le acque sotterranee.

Ma la tesi da noi sostenuta in due recenti pubblicazioni1 e che ora vivamente rincalziamo con ulteriori considerazioni, nella speranza che, mentre si è ancora in tempo, si abbandoni un progetto che giudichiamo un errore nazionale, è questa: qualunque sia il tracciato, dalle fonti del Sele alle Murgie, l’acquedotto deve attraversare dei terreni tanto esposti alle frane da insorgere molta probabilità che l’opera non possa nemmeno essere compiuta; oppure, che sia rovinata in alcune tratte; coll’aggravante che appunto in questa regione di presa e di transito dell’acquedotto avvengano terremoti disastrosi, i quali possono direttamente guastare il manufatto e determinare frane funeste, irreparabili. Per usare di un’espressione di un modesto ma valentissimo cultore della geodinamica endogena, il professore Mercalli, i terremoti sono dei malfattori recidivi. Le frane che minacciano l’acquedotto di Chieti e le altre che hanno interrotto nello scorso mese di marzo la ferrovia Sulmona-Pescara, sono recenti moniti, che non vanno trascurati; e quanto ai pericoli dei terremoti, per un manufatto lungo centinaia di chilometri, crediamo sia una imprudenza il giudicarne ridicolo od esagerato il timore, opponendo che si badasse ad un tale pericolo, non si dovrebbero costruire nè abitati nè edifici pubblici. Il fatto si è che per i terremoti cadono abitati ed edifici pubblici robustissimi, e si scuotono, come ben disse il Pilla,

  1. Taramelli T.Alcune considerazioni geologiche a proposito dell’Acquedotto pugliese [in] Rendiconti R. Ist. Lombardo ecc. Serie II. Voi. XXXVIII. Milano 1905.
    Baratta M.L’Acquedotto pugliese ed i terremoti. Voghera [1905]. Tipografia Riva e Zolla.