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66 PARTE SECONDA CL. I.

maschera e dell’aurora volle eternare la memoria d’un avvenimento, in cui Tivoli sostenne una sì bella parte.

Rispetto al culto d’Ercole non faremo che richiamare i lettori alla storia di quella città. I monumenti colà superstiti e la voce degli antichi scrittori si accordano nel dimostrarci, che Ercole aveva in Tivoli quel culto che Giove sul monte Laziale e la Fortuna in Preneste. La pietà superstiziosa delle vicine e delle lontane genti verso quel ricco delubro oltrepassava ogni misura.

Per ultimo queste monete coniate sono distribuite in triente, quadrante, sestante, oncia e semoncia. I latini, i rutuli, i volsci, gli aurunci, come si è veduto, nel ristabilire la loro moneta, dimenticarono l’antico sistema della libra e delle sue parti minori, e s’appigliarono al costume delle città più meridionali, ragguagliando le monete proprie alle proporzioni medesime di quelle. Ma le cinque nostre monete sono ordinate per oncie; del qual fatto a noi pare trovarne la ragione nella situazione della città a cui appartengono. È Tivoli posto in un estremo angolo del nuovo Lazio tra settentrione e levante: talché i suoi traffici quanto riescono comodissimi nella direzione unica di Roma, altretanto sarebbono malagevoli quando prendessero una qualc’altra via. Il solo tragitto verso Preneste, che è a Tivoli la città più vicina, è incomparabilmente più arduo che quello verso Roma. D’altra parte Preneste abbonda di que’ prodotti medesimi di ohe è ricco il territorio tiburtino: laddove Roma si alimenta del soperchio d’amendue que’ popoli, e li fornisce a vicenda delle sue e delle straniere manifatture. Crediamo che la condizione di Tivoli non sia stata mai diversa dalla presente, dacché i primi romani se l’ebbero assoggettata. Perciò questo commercio esclusivo, ch’ebbe sempre con Roma, le rendè necessario il conformarsi a Roma eziandio nella forma e nel sistema della moneta.

Gli altri popoli del nuovo Lazio trafficavano anch’essi con Roma; ma non così che non avessero comode e piane le vie per commerciare anche tra loro stessi e con le genti della sinistra riva del Liri. In Roma riportavano forse la moneta che da Roma riceveano: tra loro e co’ lontani adoperavano la moneta propria. E questa è la cagione, per cui ha messe si forti radici la opinione de’ numismatici, la qual vorrebbe che campane fossero le monete della parte sinistra della nostra Tavola XII. Quantunque molto vi contribuisca eziandio la presente divisione politica del paese. Imperochè la regione degli aurunci, ch’era già parte del nuovo Lazio, come si è veduto, rimane compresa entro il moderno regno di Napoli. Le monete che in molto numero escono da quella felice terra, e che in gran parte sono latine, colano nelle mani de’ numismatici napoletani, i quali per ragione di quella frequente provenienza sono indotti a riconoscerle per campane. Speriamo che i nostri avvisi saranno bastevoli a far che si muti il comune giudizio.

Rinnoviamo qui l’osservazione che abbiamo fatta intorno al Castore e