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246 dell'asino d'oro

titi dalla cena del nostro padrone, che noi trovammo la sollecita innamorata, che mi attendeva, in camera del mio guardiano. O Fortuna poco conoscente di quello che tu fai! che casa era quella dov’ella mi menò! che tappezzerie per le sale, che sergenti! Nè fui prima arrivato in camera, dove alcuni doppieri di bianchissima cera vi facevano le notturne tenebre biancheggiare, che tu vedesti quattro bellissime fantesche, a vedere e non vedere, avere disteso un letto di mirabilissimi materassi, con una coltre di teletta d’oro e di dommasco incarnato, fregiato d’ogni intorno di tante trine d’oro che era una ricchezza; e sopra v’eran guanciali chi di velluto, chi di raso, altri di zendado preparati di mobilissima piuma, altri di sottilissima bambagia, due di botton di rose profumate, altrettanti di odoratissime polveri. Assettato che fu il letto, le amorevoli donzelle, per non dare indugio a’ piaceri della padrona, tirate a lor l’uscio, ne lasciaron libera comodità. Allora la bella donna, dispogliatasi tutta ignuda, e levatosi per fino a quella fasciuola colla quale ella teneva sollalzate le mammelle; preso un vasetto d’alabastro, e una ampolla con mille belli lavori