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146 l’edera


Paulu picchiò ancora.

Ella distese la coperta sul letto, copri il vecchio fino al collo, poi uscì, e dopo aver deposto il lume sulla scala aprì.

— Annesa, che fai? — domandò Paulu.

— Mi vestivo. Come, sei tu, Paulu? E il cavallo?

Egli entrò, avvolto nel lungo cappotto bagnato, con una piccola bisaccia in mano: era pallido, ma sorrideva, e i suoi occhi scintillavano, animati da una gioja infantile. E Annesa, dopo averlo sognato agonizzante, sentì un’angoscia mortale nel vederlo così insolitamente felice.

Egli disse scherzando:

— Il cavallo l’ho venduto. — Poi aggiunse, serio: — non mi hai sentito passare, poco fa? Ho pensato che il temporale avesse inondato la tettoja: ho lasciato il cavallo da zio Castigu, perchè domani lo conduca al pascolo.

Non era la prima volta che ciò avveniva, ma ella se ne meravigliò come d’un fatto straordinario. Paulu si tolse il cappotto: ella si affrettò a levarglielo di mano e sentendolo pesante e umido ricordò la preoccupazione avuta durante il temporale.

— Il cuore mi diceva che eri in viaggio, — disse sottovoce, sembrandole che il vecchio udisse ancora. — Ma non ti aspettavamo. Anzi, io ho avuto il biglietto. Che spavento... Ho avuto la febbre...

— Lo vedo che tremi, — mormorò Paulu. — Sai, invece, ho trovato i denari. Aspettami un momento. Vado su e scendo subito...