Pagina:L'edera (romanzo).djvu/153

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l’edera 151

subito discorso; entrambi avevano qualche cosa da nascondersi, e preoccupati di ciò non si accorgevano della menzogna reciproca. Ella però capiva che doveva mostrarsi più allegra, e finger meglio.

— Sono contenta che tu abbi trovato, — disse con voce tremante. — Ora non ripartirai presto, spero. Il tuo biglietto mi ha tanto spaventato, sai: credevo che tu volessi morire...

— Non parliamone più; ora! Sono qui, e spero infatti di non riparire presto. Ho pensato sempre a te, Annesa. Ho pensato: ora potremo respirare alquanto; io potrò lavorare, potrò... Sì, voglio fare qualche cosa: è tempo di pensare ai casi miei. Don Peu mi ha proposto un affare: egli possiede una miniera, sui monti di Lula, e vuole esplorarla: gli ho chiesto, scherzando, se voleva prendermi con sè, come sorvegliante e cantiniere dei lavoratori, gli dissi che desideravo allontanarmi per un po’ di tempo da questo paese, dove tutto mi riesce odioso. Egli accettò...

— Tu, cantiniere, tu?... — disse Annesa con dolore.

— Io, sì; che male c’è? Non è vergognoso lavorare, Annesa. E poi, non sarebbe neppure lavoro, il mio. Con mille lire metterei su la cantina, cioè una specie di trattoria dove i minatori si provvedono del pranzo e di quanto loro occorre. Guadagnerei il mille per cento, vedi. Sì, sì, è conveniente, ci ho pensato bene. Sono contento più per questo che per aver trovato i denari. Chi sa, Annesa, forse la sorte si è stancata di perseguitarci. Non dir