Pagina:L'edera (romanzo).djvu/181

Da Wikisource.

l’edera 179


— Ah, ecco la febbre che ricomincia; già, è calato il sole. Ne avrò per tutta la notte.

Per qualche tempo rimase là, immobile sullo scalino della porta, ma invece di riposarsi le pareva di sentirsi sempre più stanca, e come il cielo si oscurava, anche i suoi pensieri si velavano. Guardava verso il punto della montagna dove ella credeva ci fosse l’ovile di zio Castigu e pensava:

— Paulu sarà già in cammino; scenderà forse a piedi per lasciare il cavallo al pascolo, e arriverà stanco e vorrà cenare. Bisogna muoversi: devo anche andare alla fontana...

Ma una grande fiacchezza le impediva di muoversi: di nuovo sbadigliò e rabbrividì dai piedi alla testa:

— Ah! ah! — disse a voce alta. — Ci manca solo questo, che mi ammali... — e un pensiero molesto la turbò: — se mi assale il delirio, e parlo? Ah, no, labbra mie, tacete! Ora che la terra ha ingojato il segreto, dovrei svelarlo io?

Sbadigliò ancora e si portò ambe le mani alla bocca; poi si alzò, smaniosa di muoversi, di vincere il maligno sopore che la invadeva: accese il fuoco e preparò la cena; pensò di andare alla fontana e cercò l’anfora, ma mentre attortigliava un pannolino per farne un cercine provò un capogiro e dovette appoggiarsi al muro per non cadere: con l’ombra della sera tornava la nebbia perfida della febbre. Donna Rachele si accorse che Annesa stava male e le tolse l’anfora di mano.