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sull’ultima linea del cielo lattiginoso; e la chiesetta nera si disegnò, alla destra del sentiero, sulla china petrosa. S’udiva il tintinnio monotono e argentino dei sonagli d’un gregge al pascolo. Dovevano essere le pecore di zio Castigu. Guidata dal tintinnio melanconico, Annesa attraversò il pianoro sottostante alla china, e giunse fino alla capanna del vecchio pastore. Non trovò nessuno; ma il cane cominciò ad abbajare, e ziu Castigu non tardò ad apparire, avanzandosi rapidamente dal bosco.

— Annesa, che c’è? Sei tu, anima mia? — egli gridò con voce spaventata. — Che è accaduto?

— Dov’è? — ella domandò con voce bassa e anelante. — Dov’è?

Il pastore la guardò da vicino; gli parve che ella fosse invecchiata e impazzita.

— Chi? — domandò.

— Chi? Paulu! — ella disse quasi con dispetto.

— Paulu! E chi lo ha veduto?

Sulle prime ella credette che il vecchio mentisse.

— Ditemi dov’è, ditemi dov’è! A me potete dirlo, credo! Son venuta per lui: devo parlare con lui.

— Ma che è accaduto, Anna? Ti giuro che non ho veduto don Paulu.

Allora ella vacillò, parve impazzire davvero.

— Dove sarà egli? Ma dove? — gridò: e pareva rivolgesse la sua domanda al cielo, alla notte, al destino invisibile e fatale che la spingeva, sem-