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204 gilbo — giucco.


dial. mod. geier, avido, bramoso, spettante alla rad. ger. gîr, desiderare, che diè tm. gier, gierig, gern, begheren ecc. Ciò è confermato anche dal fatto che nel tm., oltre a Geierfalk, s’usa anche il semplice Geier, derivante da aat. gîr, kîr, mat. gîr. La rad. ger. gîr ha un riscontro nel sans. grdhras, “avido, avvoltojo” rad. idg. ghar. Il trovarsi già nell’aat. la forma gîr, e molto più il fatto che il sans. grdhras vale ad un tempo “avido” e “avvoltojo” finisce di atterrare del tutto l’ipotesi del Diez che traeva dal lat. grec. gyrus, giro, il primo elemento del bl. girifalcus. Al che bisogna aggiungere che la caccia coi falchi fu insegnata ai popoli lat. dai Tedeschi, come confessa apertamente il Baist (Zeits. di Gröber, VI, 427).

Gilbo, di color cenerognolo (Palladio, Marz. 15). Si deriva comunemente dal l. gilvus, d’ug. sig.; ma non potrebbe anch’essere il tema del t. gelb, giallo, prima latinizzato, e poi ridotto a forma italiana; e che penetrò anche nel fr. gilbe, ginestra dei tintori? Anche nel tm. abbiamo un Gilbe, giallore, da mat. gilwe, aat. giliwî, gelawî, vb. gilben, colorare in giallo. Il cangiamento del w ger. in b lat. e rom. l’abbiamo visto anche sotto falbo.

Gilda, è la forma bl. del ger. gilda, che già s’è visto sotto Geldra, e che nel fr. oltre a gilde diè gueude. Da gilda a geldra si passò mediante la infissone d’un r, come da ags. filt si cavò feltro, e da Geneva si cavò Ginevra.

Giolito, godimento che prendesi nella quiete dopo la fatica; festa, allegrezza (Redi, Fagioli), è una riproduzione dell’afr. jolit, fr. joli, formatosi dal fr. jolif, mediante l’aggiunta del suffisso (v. Rothenberg De suffixorum mutatione). Sull’origine poi ger. primitiva rimandiamo a Giulivo.

Giucco, quasi affatto privo di senno (Pananti, Guadagnoli). Pare non sia altro che un doppione di ciocco che figuratamente vale “balordo”, e ciò mediante la forma ciucco che in alcuni vernacoli toscani usasi per lo stesso