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giormente l’ometto. Egli cominciò a chiacchierare, frustando il cavallino che proseguì alla volta di San Giovanni.

— Ora andiamo un momento a San Giovanni, poichè siamo qui: ho da sbrigare un piccolo affare. Tu baderai al cavallo. La tua mamma è disperata: Francesco ha un foruncolo maligno: essa è venuta da me, poichè Scipione le ha detto che ti avevano veduto in questa strada... A che ora l’hai veduto?

Non gli domandò altro, non lo sgridò: pareva avesse dimenticato le scene orribili avvenute tra loro due. E Adone ascoltava, palpitante e diffidente.

Intanto il carrozzino procedeva. Come ci si stava bene, in due! Dopo tanto camminare a piedi era un vero piacere farsi trascinare dal cavallino vigoroso: i campi veduti dall’alto sembravano più belli, luminosi di sole, e l’orizzonte appariva più vasto. Si vedevano le allegre casette di San Giovanni, e gli alberi del parco Vidoni, del quale Adone aveva sentito parlare e che molti paragonavano al parco Dargenti. Per tutte queste cose egli si sentiva più calmo, sebbene pensasse con tristezza al fratello malato e alla povera mamma afflitta. Avrebbe voluto parlare, dire dell’incontro con la cestaja, domandare al Pirloccia se avesse incontrato la donna e la bambina: ma gli ripugnava quasi rivolgere la parola e lo sguardo al terribile ometto che per lui, oramai, rappresentava il tradimento e la menzogna.