Pagina:La Vita Ai Tempi Eroici Di Persia, Uffizio della Rassegna Nazionale, 1885.djvu/8

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6 LA VITA

ficato anche ai lontani, e per tal fine si usavano maniere straordinarie e nuove, ben differenti in verità da quelle che da poco sono invalse fra i moderni. Si chiamavano artefici da tutte le parti, ed essi fabbricavano in tutta fretta un fantoccino, pieno di pelo di zibellino e di martora, tutto somigliante al bambino nato allora allora, ne dipingevano le guance e lo vestivano di seta e di raso, e poi, come segno del suo futuro e immancabile valore, gli si sospendeva al fianco una spada, gli si poneva una clava tra le mani e un elmo in fronte. Posta sopra un cavallo, non è ben detto se vero o di legno, la gioconda immagine era spedita ai parenti lontani, i quali, nel vederla strabiliavano di meraviglia, e giuravano che quella immagine era proprio somigliante al padre del bambino, e che perciò il bambino doveva somigliare a lui. Il fortunato portatore di essa riceveva poi un ampio dono di monete che lo facevano d’un tratto ricco e beato. Altra volta, invece, si usava un modo più semplice, ma non meno grazioso. Dalla madre o dal padre si scriveva una lettera (e si noti l’anacronismo del porre la scrittura a quei tempi) con cui si annunziava ai lontani congiunti quella nascita, e perchè essi pure avessero un visibile segno del nuovo parente, gli tingevano di zafferano la manina, l’applicavano poi bellamente sul foglio, in modo da lasciarvi l’impronta, perchè i lontani la vedessero e l’ammirassero.

Nè aveva minore importanza l’imposizione del nome. Cercavasi sopra tutto che il nome fosse di lieto e fausto augurio e più ancora si voleva che esso corrispondesse a certe qualità di animo e di corpo. Qualche rara volta era la stessa madre che imponeva il nome, come appunto fece Rûdàbeh, la fortunata madre del più grande eroe di Persia. Quando, dopo l’infinita doglia del parto, dopo che rinvenne da un lungo svenimento, ella potè vedere il suo infante che le ancelle le presentavano sopra un guanciale e che pareva, secondo la viva espressione del poeta, un cumulo di fresche rose, allora ella disse con flebile voce: Oh! rustem! - Rustem, in persiano, significa: Io sono libera da ogni travaglio, e Rustem fu il nome che fu imposto all’infante e che lo rese celebre per la sua terra. Ma, nei casi più comuni, il padre soleva attendere che il tempo o qualche occasione improvvisa disvelasse il carattere e l’ingegno del figlio suo per trovargli poi un nome che vi avesse qualche attinenza. Raccontasi pertanto che il re Frêdûn aveva tre figli ai quali egli non volle imporre alcun nome prima che l’indole di ciascuno non gli fosse chiaramente svelata e che però dovette attendere fino al tempo che essi, giunti a pubertà, già si cercavano una sposa. Andati essi da Serv re del Yemen in Arabia, essi ne sposarono le tre leggiadre