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la capanna dello zio tom


Chiunque ha viaggiato per gli Stati della Nuova Inghilterra ricorda senza dubbio di aver osservato in qualche recente villaggio parecchie vaste fattorie, precedute da una corte assai decente, erbosa, e ombreggiata dal denso fogliame dell’acero: ei ricorda non meno l’aria d’ordine, di calma, di costante riposo che quivi spira per tutto. Nulla v’ha di smarrito, nulla di inordinato: non un picciol tronco che sporga fuor della siepe, non una pagliuzza sull’erboso tappeto. Vaghi cespugli di fior di lilla crescono sotto le finestre. L’interno della casa si divide in ampie stanze, onde ogni attività pare sbandita, ove tutto e per sempre occupa rigorosamente il suo luogo, ove tutte le cure che si appartengono al governo della casa s’adempiono colla precisione del vecchio orologio che è là collocato in un angolo. Nella stanza ove suol raccogliersi la famiglia è una rispettabile antica libreria munita d’invetriata, ove la Storia antica di Rollin, il Paradiso perduto di Milton, il Corso del Pellegrino di Bunyan, la Bibbia di Famiglia di Scott, e molti altri libri, ugualmente gravi e pregevoli, stanno ritti l’un accanto altro in ordine maestoso.

In casa non v’è domestico: la padrona, coperto il capo di una cuffia bianca come la neve, cogli occhiali sul naso, ogni dì dopo il meriggio siede in mezzo alle figliuole intente a cucire, come se nè ella, nè queste avessero in che altro occuparsi. Esse han già compiuto il loro lavoro in un’ora del mattino, già da loro dimenticata: e in qualunque ora vi rechiate a visitarlo lo troverete compiuto. Il vecchio pavimento della cucina è sì pulito, che pare non abbia mai avuto pur una macchia; le tavole, le seggiole, le stoviglie sono sempre ordinate e riposte al luogo loro; eppure quivi s’apprestano ogni dì tre pasti, e spesso quattro, vi stette la famiglia occupata a lavare, a stirare le biancherie; e nel silenzio, in guisa veramente misteriosa, vi si apprestarono non poche libbre di formaggio e di burro.

In una fattoria di questa guisa, in una casa e famiglia siffatta, miss Ofelia era tranquillamente vissuta quarantacinque anni, o in quel torno, allorchè il cugino la invitò a venir seco.

Tuttocchè primogenita di numerosa famiglia, era stata fin allora tenuta dal padre e dalla madre siccome una fanciulla, e la proposta di lasciarla recarsi alla Nuova-Orleans parve strana e assai grave. Il vecchio padre da’ bianchi capelli tolse dalla libreria l’Atlante di Morse, per considerare attentamente la longitudine e latitudine di città sì lontana, e prese a leggere i viaggi di Flint nel Sud-Ovest per avere un’idea della natura di quel paese.

La buona madre chiese ansiosamente se Orleans non fosse per avventura una città di costumi assai guasti: e aggiunse che le parea la stessa cosa che recarsi all’Isole Sandwich, o a qualsivoglia altra contrada che fosse abitata da pagani.