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— Allora chi li guarda? Se tu gli hai lasciati soli non so se li troveremo ancora. Gli Arabi, amico mio, non sono fiori di galantuomini.

— Non aver timori, Notis. Gli ho affidati ad un sudanese di mia conoscenza.

S’arrampicarono sulla riva che veniva giù quasi a picco, tutta cosparsa di canneti e di enormi radici che s’intrecciavano confusamente le une colle altre e s’internarono sotto le oscure vôlte della foresta. Notis prese un sentieruzzo appena appena visibile, ed Abd-el-Kerim gli si mise dietro in silenzio e colla fronte aggrottata, come se un grave pensiero lo tormentasse.

Quanto il greco procedeva con passo spedito, altrettanto l’arabo camminava lento e come svogliato. Anzi quest’ultimo di tratto in tratto si fermava, voltavasi indietro e mirava con occhio triste e cupo le rive del fiume e i dintorni, tendendo attentamente l’orecchio.

Dopo una ventina di minuti, il greco scorse, semituffato fra le piante, una zeribak, specie di recinto formato da pali nei quali si radunano usualmente gli armenti per proteggerli contro gli assalti delle bestie feroci. Egli si arrestò, armando per precauzione il suo revolver.

— Olà, Abd-el-Kerim, dove siamo noi? chiese egli.

L’arabo che era lontano, non l’udì e per conseguenza non rispose. Notis si volse indietro e lo vide fermo in mezzo al sentiero che guardava fissamente le rive del Bahr-el-Abiad.

— Che può avere Abd-el-Kerim? mormorò egli. Poco fa, quando gli parlai di mia sorella era diventato gaio e pareva felice. Come ora è diventato triste? Si direbbe che ha lasciato qualche cosa a Machmudiech... si direbbe che s’allontana a malincuore.

Egli tornò indietro in punta di piedi e osservò minutamente il compagno. S’accorse che aveva gli occhi rivolti al villaggio e precisamente verso il

La Favorita del Mahdi. 2