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all’aperto, russavano sotto i tugul di paglia o sotto le tende curvate per la pioggia che cadeva a torrenti allagando le polverose strade.

Il silenzio funebre che regnava nella città, era rotto di quando in quando da un colpo di tuono secco secco che faceva tremare i tugul e dal lugubre scricchiolar delle palme violentemente scosse dal vento del sud-est.

Abù-el-Nèmr, dopo di aver esitato alcuni istanti, prese la via che menava al quartiere di El-Orfa, spingendo il cavallo al piccolo trotto. Notis e il suo compagno, tirato il fiato, gli si misero bravamente dietro, determinati a sapere dove andasse a finire e sicuri di scoprire qualche cosa di nuovo che li riguardava.

Venti minuti dopo lo scièk si arrestava dinanzi a una capanna piuttosto malandata, situata all’estremità del quartiere e circondata da un orticello nel quale crescevano superbi tamarindi. Dalle fessure delle pareti trapelavano dei raggi di luce.

— Oh! fe’ Notis, arrestandosi di botto e aprendo bene bene gli occhi. Il birbante ha delle persone che lo aspettano. Ira di Dio! Qui sotto gatta ci cova.

Abù-el-Nèmr spostò un lembo di siepe che raccindeva l’orticello, condusse il cavallo sotto una piccola tettoia poi battè tre volte le mani.

La porta della capanna si aprì lasciando vedere un gran fascio di luce, poi si rinchiuse dietro lo scièk.

— Medinek, disse Notis, volgendosi al compagno. Chi abita in quel tugurio?

— Non lo so, rispose il guerriero. Una volta quella capanna era deserta.

— Bisogna sapere a qualsiasi costo chi la abita.

— Uhm! Non è cosa tanto facile. Non trovo altro mezzo che quello di salire sul tetto e di appoggiare gli occhi alle canne.

— Andiamo sul tetto, Medinek.

— Noi corriamo il rischio di venire scoperti.

— Hai il tuo jatagan?

La Favorita del Mahdi. 24