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perdere ogni speranza di rivedere Fathma e gli farò comparire Elenka come una salvatrice. Il Profeta stesso non potrebbe fare di più.
— Se vi riesci compero da te Fathma a peso di talleri.
— Non chiedo di più. Ora andiamo a trovare il mio rivale e poniamo in opera i nostri progetti.
Lo sceicco s’inumidì le labbra con una tazza di merissah, accese un ramo d’albero resinoso, uscì dalla tenda e guadagnò l’entrata di un corridoio che aprivasi sotto una specie di piramide smussata e che si sprofondava tortuosamente sotto terra.
Vi entrò camminando con precauzione fra rottami d’ogni sorta e s’arrestò, pochi minuti, dopo dinanzi ad una porticina ferrata e bassa. Tese l’orecchio: al di fuori s’udiva brontolare il tuono e ruggire il vento sotto le grandi foreste e nel sotterraneo s’udivano le bestemmie e i lamenti del prigioniero. Un satanico sorriso apparve sulle labbra dello sceicco.
— Il mio prigioniero si trova a disagio nel sotterraneo, mormorò egli beffardamente. Lo faremo diventare idrofobo.
Aprì la porticina ed entrò in una specie di cantina umidissima e tanto fredda da gelare le membra. In un canto scorse subito Abd-el-Kerim, addossato alla parete, coi pugni chiusi, la faccia contratta dalla collera e dal dolore e gli occhi fuori dalle orbite che schizzavano fiamme. Fit Debbeud emise un grande scroscio di risa che l’eco ripetè più volte.
— Che fate, giovanotto mio? chiese egli, sghignazzando.
L’arabo scattò in piedi come una belva e lo guardò torvamente.
— Miserabile! urlò con voce strozzata, facendoglisi addosso colle braccia tese.
Lo sceicco trasse flemmaticamente un pistolone e puntandolo verso di lui, disse duramente:
— Se tu alzi una mano verso di me, ti faccio scoppiar la testa.
— Sei un brigante! urlò l’arabo furibondo.