Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/103

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i principali. Quando fu pubblicato il Rinnovamento, parecchi studenti riuscirono ad averne una copia, e per leggerla si riunivano alla chetichella ora in una, ora in altra casa. Una sera, mentre alcuni di loro, in casa di Tommaso Arabia, leggevano questo libro, alcuni agenti e un cancelliere li sorpresero. Fu buttato il libro nel pozzo; e preso un mazzo di carte, gli adunati si disposero in giro ad una tavola, facendo vista di giuocare. Ma non valse quest’astuzia, perchè i feroci, dopo averli maltrattati con villane parole, li trassero in arresto, come colpevoli di giuochi proibiti. Gli studenti ricchi, pochi; ma anche quelli, che appartenevano a famiglie facoltose, erano tenuti a stecchetta. Uno studente ben provvisto veniva segnato a dito fra i compagni. E però vivevano in tre o in quattro, conterranei, comprovinciali o parenti, occupando camere o quartierini della vecchia Napoli, o nel quartiere di Montecalvario, agli ultimi piani. Il letto, una tavola da studio, un cassettone e qualche sedia: ecco la suppellettile che lo studente portava dal paese nativo; e perciò, quando avvenivano gli sfratti, era caratteristico vedere, al Molo, montagne di materassi che si caricavano sul vapore in partenza per Pizzo, perchè erano i calabresi quasi sempre primi ad essere sfrattati. Altri abitavano, come si diceva, in famiglia, cioè erano dozzinanti presso famiglie d’impiegati, di pensionati, di piccoli professionisti, di commessi di negozio; e la padrona di casa, se non proprio vecchia, finiva per essere l’amante di uno dei suoi giovani inquilini; e se aveva figliuole, erano amori, promesse, giuramenti, scene clamorose di gelosia, e . . . . frittata finale. Lo studente, tornando in provincia, narrava con compiacenza i suoi amori di Napoli, e quasi sempre esagerava, lasciando credere più di quanto realmente fosse. Molte volte c’entravano la polizia e il curato, e allora la faccenda finiva con un matrimonio imposto, o con quattrini pagati a titolo .... d’indennizzo.

Anche ai miei tempi, studente era per i napoletani qualità dispregiativa e voleva dire zotico, sfrontato, spiantato, arruzzuto. Gli studenti, in genere, erano detti calavrisi, perchè, cosa davvero strana, i provinciali meno riducibili e più temuti dalla polizia, erano, non i pugliesi o gli abruzzesi, ma quelli di Calabria; e difatti quei giovani, i quali scendevano dalle native montagne del Cosentino e del Catanzarese, erano i meno atti a rifarsi nelle