Pagina:La fine di un regno (Napoli e Sicilia) I.djvu/109

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brillante domandava un cibo di grasso! Il pover’uomo prevedeva lo scandalo del pubblico, che avrebbe visto un attore sul palcoscenico mangiar di grasso in un giorno proibito! E senza perder tempo, si cacciò in testa il tricorno, corse trafelato al teatro, e varcata la porta del palcoscenico, cominciò, appena ebbe scorto l’impresario don Adamo Alberti, a balbettare più del solito, " Don don, don Adò .... do ... . don Adaàa .... pe ., .. pesce aa . . . . arro .... rosto, no ... . nooon pe . . . . perni .... niciotto arrosto„. L’Alberti capì subito e il temuto scandalo fa evitato.

Non si poteva pubblicare un sillabario o una grammatica senza il permesso del revisore, e non solo veniva proibita ogni frase, che potesse avere un’allusione politica, ma tutto ciò che si credeva immorale. I revisori non essendo moltissimi, per ottenere l’approvazione di un foglio di stampa spesso si doveva aspettare delle settimane, ed è facile immaginare le imprecazioni e le astuzie degli editori e degli autori.

Nel 1856 Tommaso Arabia aveva intrapresa la pubblicazione del teatro di Shakespeare, tradotto da Giulio Carcano. Era stato destinato a revisore dell’opera il canonico don Gaetano Barbati, un bravo uomo e dotto latinista, ma pieno di dubbii e di scrupoli. A don Gaetano venne in mente che fosse immorale la scena appassionata del primo atto della Giulietta e Romeo, e la cancellò addirittura quasi tutta. Arabia fece notare che quella soppressione, oltre che una irriverenza a così insigne autore, era in aperta contradizione con quanto aveva già fatto il revisore del Rusconi. Fu tempo perduto; e poichè non si aveva a chi ricorrere, Arabia fece di quel foglio di stampa una doppia edizione, una per il revisore, mutilata com’egli volle, e l’altra integra per gli associati, affrontando il pericolo, se la cosa fosse stata scoperta, di andare in carcere. Vi era poi un ufficio di revisione presso il ministero di polizia e un altro per la revisione delle opere teatrali. A don Gaetano Royer era succeduto per queste don Domenico Anselmi. Alla revisione presso il ministero di polizia era data facoltà di esaminare i giornali, nonchè le stampe che non oltrepassassero il numero di dieci fogli.

La Corte Suprema di giustizia aveva per presidente il sommo Niccola Nicolini, avo materno dell’ex guardasigilli Francesco