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la scotennatrice 213


— Pel momento no: lasciateli pure dormire.

«Armate la carabina ed aspettatemi.

— Andate ad esplorare?

— Sì, è necessario.

— In due potremmo aiutarci meglio.

— No, mister. Potrebbero approfittarne gli altri per sorprendere il nostro campo e massacrare i nostri compagni.

«La mia assenza d’altronde sarà breve.

Si mise alla cintura le due grosse pistole d’arcione, dategli dai volontari, e si tuffò fra quel mare d’erbe che il vento, volta a volta, abbatteva od arruffava.

Come abbiamo detto, i suoi orecchi erano troppo acuti per poter essersi ingannato. Era quindi più che certo che un pericolo, ancora sconosciuto, minacciava l’accampamento.

Poteva provenire da parte degl’indiani come da parte delle belve feroci, che in quel tempo erano ancora numerosissime sui Laramie, poichè si vedevano spesso orsi grigi, orsi neri e giaguari scendere verso gli altipiani per assalire gli accampamenti degli scorridori di prateria, i quali si spingevano fino lassù per cercare le pelli per gli scambi.

John, dopo essersi fermato quattro o cinque volte per mettersi in ascolto, piegò verso il campo descrivendo un largo giro, per assicurarsi che nessuno lo minacciasse sui fianchi.

Di fronte, a guardia, stava Turner, quindi da quel lato non aveva nulla da temere, sapendo già per prova quale uomo terribile egli fosse.

S’avanzava penosamente, curvandosi per reggere alle raffiche, imbrogliandosi fra le alte erbe che di tratto in tratto lo avvolgevano, sempre tendendo gli orecchi.

Aveva già percorso più di tre o quattrocento metri e cominciava a distinguere l’ombra nera dei cavalli che da veri corsieri sonnecchiavano in piedi, quando una massa enorme, più nera delle tenebre che la circondavano, sorse improvvisamente fra le alte erbe e gli cadde addosso, atterrandolo di colpo.

Due zampacce lo afferrarono tosto per le spalle, inchiodandolo al suolo, mentre gli si spalancava dinanzi al viso una bocca enorme alitandogli un fiato caldissimo e punto profumato.

L’indian-agent, abituato alle sorprese delle belve feroci, non perdette la testa.

Piantò un piede sul ventre dell’assalitore per impedirgli di divorargli la faccia o di sfracellargli il cranio, poi con un rapido gesto estrasse una delle pistole d’arcione, che aveva precedentemente armate, e gliela scaricò addosso.

Un urlo feroce rispose alla detonazione, e la belva, colpita in pieno, si trasse indietro rizzandosi sulle zampe posteriori, mentre si copriva il muso con quelle anteriori.