Pagina:La secchia rapita.djvu/118

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SESTO 105


LV.


O fanciul troppo ardito, e poco accorto,
     Soggiunge Iaconía, mira che questa
     Che ci costrigne a ritirarne il porto,
     444E’ più, ch’a te non par, fiera tempesta.
     Ma se l’affanno d’un destrier già morto,
     E la vendetta sua quivi t’arresta,
     Prenditi in dono il mio, nè più s’estese:
     448Ma gli porse la briglia, e giù discese.

LVI.


Quegli ’l ricusa; ed egli pur s’affretta
     Che ’l prenda, e mentre i prieghi orna e rinforza,
     Ecco torna Perinto alla vendetta,
     452E fere Iaconía di tutta forza.
     Con quel furor che vien dal ciel saetta,
     Passa il brando crudel la ferrea scorza
     Del grave scudo, e la corazza forte;
     456E lascia Iaconía ferito a morte.

LVII.


Cadde il misero in terra; e quasi a un punto,
     Poco lungi da lui cadde Perinto
     Cui, passato nel petto, e nel cor punto,
     460Restò il cavallo a quell’incontro estinto.
     Al suo vantaggio allor non bada punto
     Ernesto, e corre, dalla rabbia vinto,
     A mezza spada a disperata guerra,
     464Poichè l’amico suo vede per terra.

LVIII.


Ernesto di due colpi in sull’elmetto
     Con tanta forza il cavalier percosse,
     Che ribattendo sull’arcion col petto,
     468Sovra il morto destrier tutto piegosse.
     Lo sguardo allor drizzando al giovinetto,
     Sulle ginocchia Iaconía levosse,
     E disse: Ah non voler perir tu ancora:
     472Lascia ch’io sol per la tua vita mora.