Pagina:La signora dalle camelie.djvu/48

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il nostro amore si sarebbe cangiato in una vera, leale amicizia. Voi non l’avete voluto, siete troppo orgoglioso per avvilirvi ad accettare quanto il mio cuore vi offriva; avete nobilmente rifiutato. Ebbene, sia pure così: nel poco tempo che voi venite da me siete qualche volta restato a pranzo, a cena... Or bene, signor Armando Daval, sapete in qual modo si ricompensano le donne mie pari: gettate la vostra borsa sul mio tavolino, e voi m’avrete soddisfatta.

Armando. Oh! cessate, Margherita! ma non vedete dunque quanto mi straziano l’anima queste acerbe parole! Ma se anche le avessi meritate, è troppo crudele la vostra vendetta, ripetendole in questo momento. Io vi amo: ciò non vuol dire che mi sareste piaciuta per un mese, per un anno, per dieci. Voi siete la mia speranza, il mio pensiero, la mia vita! Io vi amo... ma che posso dirvi di più?

Margherita. Ragione di più, o Armando, per dividerci, e questa sera istessa.

Armando. Ma perchè, Margherita?

Margherita. Volete voi saperlo il perchè, o Armando? ve lo dirò. Qualunque sia l’idea che mi sono formata di quest’amore, nullameno vi sono dei momenti in cui vorrei veder compiuto questo sogno che ho appena incominciato: sonvi dei giorni in cui, stanca di questa vita, vorrei pure lasciarla per vivere quieta e tranquilla, perchè in mezzo alla nostra brillante posizione, in mezzo a questo alternarsi di piaceri che c’inebbriano, la nostra testa e l’ambizione vivono, ma il cuore si gonfia, non potendosi espandere, e ci soffoga. Noi sembriamo felici e c’invidiano: infatti abbiamo degli amanti che si rovinano non già per noi, come