Pagina:La zecca di scio.djvu/31

Da Wikisource.

19

medesima, e non trovando in Genova alcun altro sito denominato così fuorchè quello nel quale s’innalza questo palazzo, abbiamo tutta ragione di credere che in esso avesse tale ufficio la sua residenza.

Venendo ora allo stemma giustiniano, esso fu da principio un castello di argento a tre torri merlate in campo rosso, probabilmente per quello di Scio, ma per concessione di Sigismondo imperatore delli 17 maggio 1413 a favore di Francesco Giustiniani Campi venne ad esso aggiunto il capo dell’impero, cioè un’aquila nera coronata in campo d’oro.

Fu invece chi scrisse che col castello vi si volle rappresentare lo stemma di Genova, da molti tale anticamente creduto, ma errarono, chè questa città alludendo al suo nome, detto nei tempi di mezzo per corruzione Ianua, sin dal dodicesimo secolo aveva adottato, soprattutto sulle monete, una porta di città, come distintamente vedesi, per esserne il campo più largo, in una bolla di piombo di quell’epoca, che ha nel rovescio la protoma di S. Siro, suo arcivescovo e protettore1.

Ritornando ai maonesi, affine di poter rimaner tranquilli per parte dei Greci, mandarono essi nel 13632 tre dei loro soci, cioè Domenico Giovanni Olivieri, Raffaele Forneto e Pietro Reccanello a Costantinopoli all’imperatore Giovanni Paleologo colla preghiera, certamente accompagnata dai soliti doni, di confermare alla compagnia il libero possesso di Scio, ciò che che ottennero con diploma munito della bolla d’oro, ma mediante un’annua retribuzione di cinquecento iperperi3. Questi stessi patti troviamo poi confermati a Tommaso Giustiniani Longo nel 13674, ed il suddetto tributo ancora pagato nel 1412.


  1. «Con quest’occasione credo di fare cosa grata agli amatori della spragistica patria dando la notizia d’un sigillo annesso ad una lettera scritta nel 1257 da Guglielmo Boccanegra, capitano del popolo di Genova, al capitano di Ventimiglia. Ecco come è descritto nell’atto notarile col quale essa veniva rimessa, e che per estratto è inserto nel fogliazzo II, foglio 38 delle Pandette Richeriane: Sigillum in quo erat sculptus agnus ferens vexillum cum cruce super asta vexilli. Circumscriptio sigilli talis erat. Plebs Iani magnos reprimens est agnus in agnos. Allusione manifesta dell’opposizione dei popolani ai maggiori cittadini.»
  2. SperoniReal grandezza della repubblica di Genova. 1669, pag. 306.
  3. «Il Foglietta a pag. 159 della sua Storia di Genova dice che il Paleologo concesse coll’atto suddetto facoltà ai maonesi di coniare monete d’oro; ma ciò nei due diplomi che cita non esiste, onde tale sua asserzione si vede affatto erronea.»
  4. Speroni, pag. 206.