Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/291

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256 platone.

dire; secondo, quanto si dee dire; terzo, a chi si dee dire; quarto, quando si dee dire. Ciò, impertanto, che dir si dee è quello che è per giovare a chi parla e a chi ascolta. Quanto si dee dire, è il non dire nè più nè meno di quel che basta; a chi si dee dire, è, se si abbia a parlare a più vecchi, il debito di proferire discorsi tali che si convengano a più vecchi; se a più giovani, il debito di pronunciarne di convenienti a più giovani; quando si dee dire, è il dire nè troppo presto, nè troppo tardi. Se altrimenti, peccherassi e si dirà male.

LX. In quattro divide la beneficenza: poichè si benefica o coi denari, o colle persone, o col sapere, o coi discorsi. Coi denari quando tu soccorra con denari qualche bisognoso, in proporzione delle proprie facoltà. Coi corpi gli uni fanno bene agli altri, quando vengono in soccorso di coloro che sono percossi. Quelli che ammaestrano e medicano e insegnano qualche virtù, beneficano col sapere. Quando uno venga in giudizio per soccorrere un altro, e pronunci a suo favore un conveniente discorso, costui benefica col discorso. Dunque la beneficenza, altra è per mezzo dei denari, altra dei corpi, altra del sapere, la quarta dei discorsi.

LXI. Il fine delle cose divide in quattro specie. Le cose ottengono un fine secondo la legge, quando si fa dal popolo un decreto, e lo sancisce la legge. Secondo natura hanno un fine le cose, come il giorno e l’anno e le stagioni. Hanno un fine le cose secondo l’arte, come l’architettura, quando uno compie una casa, e l’arte di costruire le navi, quando le navi. Secondo fortuna