Pagina:Laerzio - Vite dei filosofi, 1842, I.djvu/367

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332 capo vii

invadendo il ginnasio, si faceva oggetto di ammirazione.

IX. Solea fare adozione di alcuni giovanetti, e per abusarne, ed acciocchè per benivoglienza avessero cura di lui. Tutta volta però anche di sè stesso era amantissimo, e molto si fondava nell’adagio: Le cose degli amici, comuni. Per ciò, fra tanti che lo udirono, nessuno si diede titolo di suo scolaro. Alcuni trascinò sino all’impudenza. A tale che Bezione, uno de’ suoi mignoni, secondo che si racconta, disse a Menedemo una volta: Io per verità, o Menedemo, mi giaccio la notte con Bione, e credo di non fare nulla di sconcio. Di molte cose, e più empiamente, tenea discorso a coloro che conversavano seco, tratte dalla scuola teodorea.

X. Finalmente caduto un giorno malato, come raccontavano que’ di Calcide — dove anche trapassò — fu indotto a provvedersi di amuleti e a pentirsi delle colpe che avea commesso verso Dio. Ed ebbe anche molto a patire per la strettezza di chi avealo in cura, fin che Antigono gli mandò due servitori; ed ei si pose a seguitarlo in lettiga, come dice Favorino nella Varia istoria. — Ma del suo modo di trapassare, anche noi lo abbiamo accusato in questo modo:

     Bion boristenite, cui la terra
       Scitica generò, negare udimmo
       Ch’esistesser gli dei. Se in tal dottrina
       Fosse durato almen, poteasi a dritto
       Dir, ch’ei penseva come a lui parea;
       Sebben mal gli paresse. Ora caduto
       In grave morbo, e di morir temendo,