Pagina:Le Rime di Cino da Pistoia.djvu/24

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GIOSUE CARDUCCI

tere e per la menzione di Bartolo come già famoso, meno antica indubitabilmente del cenotafio, questa iscrizione:

CINO EXIMIO IURIS INTERPRETI
BARTOLIQVE PRÆCEPTORI DIGNISSIMO
POP. PIST. CIVI SVO B. M. FECIT

OBIIT A. D. MCCCXXXVI

Questo, grazie alle pazienti ricerche di Sebastiano Ciampi1, è, senza le favole e gli anacronismi antichi, quanto sappiamo della vita di messer Cino. Della quale fu la poesia il minor pregio, benchè il più duraturo e celebre ai posteri.

Fu, come il maggior numero de’ poeti d’amore del secolo XIII, giureconsulto. Perchè l’ingegno pratico degl’Italiani non patì mai, e tanto meno nella prima civiltà, il poeta mero, come l’aoidos dei Greci, il trovatore de’ Provenzali, il trovèro dei Francesi del settentrione. Necessarissima parte della vita pubblica per le contese di diritto fra papi e imperatori, fra imperatori e comuni, e de’ comuni fra loro, era la giurisprudenza dagl’Italiani antichi onorata, più forse che i titoli di nobiltà, quanto il pregio della spada e della ringhiera. Gentiluomini la esercitavano: e fra i prigionieri pisani della Meloria che languirono nelle prigioni di Genova ricusando il riscatto, undicimila Regoli d’una sola città, contavansi diciassette dottori. Cominciò presto messer Cino a rimare, se la risposta al primo sonetto di Dante è dell’anno stesso che fa quello composto (1283). E già Pistoia, come ogni città italiana, avea tradizioni ed esempii di lettere da Meo Abbracciavacca seguace della maniera di Guittone e suo amico, da Lemmo Orlandi della scuola di passaggio che fiorì in Toscana dal 1250 all’80, dal franco volgarizzatore d’Albertano dinanzi il 1278. E ci viveva il futuro scrittore delle Storie pistoiesi, fedel ritratto del parlare e del costume di quella bella e forte cittadinanza, superiore d’ar-

  1. S. Ciampi: Vita e memoria di messer Cino, terza edizione. (Pistoia, Manfredini, 1826.)

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