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L’oasi. 197

Guardati.... La madre può essere vicina. —

Due animali, non più grossi di due gatti comuni, dal pelame giallognolo, cosparso di macchie leggermente nerastre, giocherellavano in mezzo agli astragalli, senza darsi alcun pensiero dei due turchestani.

— Tu dunque, Tabriz, avresti paura di queste due bestiuole? — chiese Hossein, vedendo il gigante girare intorno gli sguardi.

— Due delle mie dita sono già troppo per strangolarli, rispose il gigante. — È della loro madre e del loro padre che io ho paura, signore.

— Che animali sono dunque codesti?

— Oncie.

Una specie di pantere, piuttosto rare a dire il vero.

— Pericolose?

— Non meno delle pantere, quantunque siano un po’ più piccole.

— Vuoi uccidere questi piccoli?

— Non irritiamo i loro genitori, signore. Dissetiamoci, giacchè qui odo scorrere dell’acqua e poi prendiamo il largo e andiamo ad accamparci sul margine dell’oasi. —

Con una mano levò le foglie secche che coprivano il suolo e mise allo scoperto un rivoletto d’acqua, che scorreva quasi interamente nascosto.

— A te, padrone, mentre io ti faccio la guardia, — disse.

Il giovane, che si sentiva morire di sete, si gettò a terra mettendosi a bere avidamente. Stava per alzarsi, quando udì Tabriz a gridare:

— Le armi, padrone! Hossein d’un balzo fu in piedi, colle pistole puntate.

— Che cosa c’è? — chiese.

— Sono i genitori che tornano!... Fuggiamo!... —

Si slanciarono fuori dalla macchia d’astragalli, dirigendosi frettolosamente verso il margine dell’oasi, dove contavano, in caso di pericolo, di mettersi in salvo su qualche alto albero, avendone scorti alcuni in quella direzione.

Se avessero avuto dei buoni archibugi, avrebbero indubbiamente fatto fronte alla belva o alle belve, non essendo improbabile che oltre alla femmina vi fosse anche il maschio.

Non possedendo che delle vecchie pistole, di portata limitatissima