Pagina:Le aquile della steppa.djvu/22

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16 Capitolo secondo.

— Sì, ho sparato a cinquecento metri dalla tenda, — rispose il giovane.

— Contro chi?

— Mi pareva di aver veduto un’ombra umana scivolare fra le erbe e, temendo che cercasse d’accostarsi a me per assassinarmi a tradimento, ho sparato per farle comprendere che io stavo in guardia, e che non era uomo da lasciare la mia pelle nella steppa.

— L’hai ucciso?

— Non lo so, ma fra poco i cani saranno qui e se è veramente caduto, porteranno qualche cosa dei suoi indumenti. To’! Eccoli che giungono! —

Due cani si erano slanciati in quel momento entro la tenda, abbaiando festosamente intorno al giovane.

Uno era una specie di levriero che i turcomanni chiamano tazé, grosso, alto, di taglia pesante, con mascelle formidabili e capace di lottare contro una fiera; l’altro invece era un gurdios, una specie di bassotto, cogli orecchi a punta, razza molto adatta ad ogni specie di caccia, soprattutto a quella della volpe, che quei cani inseguono con ostinazione straordinaria, per giorni e notti intere.

Hossein guardò il grande levriero e s’avvide che non teneva nulla fra le possenti mascelle e che il muso non era lordo di sangue.

— Possibile che io abbia mancato quell’uomo! — esclamò. Eppure vi sono ben pochi nella steppa che adoperino l’archibugio come me.

— Tu devi aver fatto fuoco su un’ombra, — disse il vecchio sorridendo. — E poi le hai vedute tu le Aquile della steppa?

— No, padre, — rispose il giovane che lo chiamava ordinariamente con quel dolce nome. — Uno dei nostri cammellieri mi ha detto però, che ieri mattina alcuni pastori lo avevano avvertito di tenere gli occhi bene aperti, perchè avevano veduto passare la notte innanzi, parecchi cavalieri sospetti.

Il vecchio beg scrollò le spalle, poi disse:

— Nessun oserà assalire noi, nipote. Non occupiamoci che del tuo matrimonio.

— Domani mattina devi presentarti alla tua fidanzata coi tuoi più begli abiti e le tue più belle armi. —

Il viso del bel giovane si illuminò d’una intensa gioia.