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136 le confessioni d’un ottuagenario.


cendo. — Levati su piuttosto, e lascia che ti faccia lume, che così al freddo puoi ammalarti!

— Eh! — sclamò la piccoletta. — Sai pure che io non mi ammalo mai! Prima di andar via voglio proprio che tu mi castighi, e che mi strappi ben bene i capelli per le cattiverie che ho commesse contro di te. — E la mi prendeva le mani mettendomele sulla sua testolina.

— Oibò! — diceva io ritraendole — piuttosto di baciarci!

— Voglio che tu mi strappi i capelli! — soggiunse ella riprendendomi le mani.

— Ed io invece non voglio! — risposi ancora.

— Come non vuoi? ed io ti dico che vorrai! la si mise a strillare. — Strappami i capelli, strappami i capelli, se no grido tanto che verranno qua sopra, e mi farò picchiare dalla mamma.

Io per acchetarla presi con due dita una ciocca delle sue treccie, e me la attortigliai intorno alla mano, giocarellando.

— Tira dunque, via, tirami i capelli; — ella soggiunse un po’ stizzita ritraendo di furia la testa, in modo che la mia mano dovette seguirla per non farle troppo male. — Ti dico che voglio esser castigata! — continuò pestando i suoi piedini, e le ginocchia contro il pavimento che era di pietre tutte sconnesse.

— Non far così, Pisana, che ti guasterai tutta.

— Via dunque, strappami i capelli!

Io tirai pian piano quella ciocca che aveva fra le dita.

— Più forte, più forte! — disse la pazzerella.

— Così dunque, — diss’io facendo un po’ piú di forza.

— No così, più forte ancora; — riprese ella con un atto di rabbia. E mentre io non sapeva che fare, la dimenò il capo con tanto impeto e così improvvisamente, che quella ciocca de’ suoi capelli mi rimase divelta fra le dita. — Vedi? — aggiunse allora tutta contenta, — così voglio esser ca-