Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/211

Da Wikisource.

capitolo decimoquinto. 203

un’epopea. Le sue azioni, le sue parole s’avvicendavano, si ritiravano, si scavalcavano a fatti a contrapposti a sorprese, come le strofe d’un’ode di Pindaro mal raffazzonate dagli scoliasti. Ci sognai dietro tutta notte, la osservai buona parte del mattino, e uscii colla lettera per la Pisana in tasca, senza essermi avvantaggiato di nulla. Dentro ne inclusi una per l’Apostulos ove gli significava tutta la condotta dell’Aglaura, mettendomi ai suoi comandi in quanto poteva concernerla; lo pregava anche di prestarsi in quanto abbisognasse alla Pisana come per un altro me stesso. S’intende ch’io misi il tutto alla posta senza nulla dire alla giovine, perchè lì era in ballo la mia coscienza e non si volean cerimonie. Far da papà sì, ma non da birbone per amor suo.

Sul mezzogiorno mi abboccai con Lucilio al caffè del Duomo, che a que’ tempi era il convegno di moda, e dove ci avevamo dato l’appuntamento. Egli si mostrò spiacentissimo di non avermi potuto inscrivere nella Legione Cisalpina, dove non c’era proprio più nessun posto vacante; ma piuttosto che lasciar ozioso un par mio, diceva egli, avrebbe cercato inspirazione dal diavolo, e poteva esser contento che gliene era saltata una di ottima.

— Ora ti menerò dal tuo generale, — diss’egli, — generale, comandante, capitano, commilitone, tutto quello che vorrai! È uno di quegli uomini che sono troppo superiori agli altri, per darsi la briga di accorgersene e di mostrarlo: non si può credere ad alcun patto che in lui sia un’anima sola, e sembra che la sua immensa attività dovrebbe stancarne una dozzina al giorno. Contuttociò ammira i tranquilli, e compatisce perfino agli indolenti. Sul campo io scommetto che da solo basterebbe a vincere una battaglia, purchè non gli ferissero gli occhi nei quali risiede la sua potenza più straordinaria. È napoletano, e a Napoli direbbero che ha la jettattura, ovvero come dicono nei nostri paesi, il mal’oc-