Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/427

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capitolo ventesimo. 419

Io passava, cionullameno, le notti ed i giorni al suo capezzale, tastandole ogni poco il polso, e interrogando con intento orecchio il suo respiro greve ed affaticato.

Oh quanto avrei pagato io un barlume di luce, per intravvedere le sue sembianze, per capacitarmi di quello che doveva credere alle sue parole pietosamente bugiarde! Con quanto sgomento non seguiva io il medico fin sul pianerottolo, pregandolo e scongiurandolo che mi dicesse la verità! Ma più d’una volta sospettai che ella ci venisse dietro appunto per impedire al medico che disubbidisse alla sua raccomandazione, e tutto mi dichiarasse il pericolo del suo stato!!... Quando poi io non voleva ad ogni costo acchetarmi alle sue proteste, ell’aveva ancora il coraggio di adirarsi, di pretendere che le credessi per forza, e che non mi martoriassi con paure immaginarie. Oh ma io non restava ingannato da queste frodi!... Il cuore mi ammoniva della sciagura che ci minacciava, e le pozioni che il medico ordinava, non erano tali che si convenissero ad un lieve incommodo passeggiero. Eravamo allo stremo d’ogni cosa, mi convenne vendere le biancherie, i vestiti; avrei venduto me stesso per procurarle un momentaneo sollievo.

Dio finalmente ebbe compassione di lei e delle mie orribili angosce. Il malore fu domato se non vinto; l’ardore febbrile si rallentò nel suo corpo estenuato; riebbe a poco a poco le forze. Si alzò dal letto, volle subito licenziar la fantesca, per risparmiare la spesa, e accudir lei alle faccende di casa; io me le opposi quanto seppi, ma la volontà della Pisana era irremovibile; nè malattie, nè disgrazie, nè persuasioni, nè comandi, valsero mai a piegarla. I primi giorni che uscì di casa non mi lasciai vincere neppur io, e volli accompagnarla: ma ella se ne stizziva tanto, che mi convenne anco di questo accontentarla, e lasciare ch’ella uscisse sola.

— Ma, Pisana, — le andava io dicendo — non vuoi dare