Pagina:Le confessioni di un ottuagenario II.djvu/471

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capitolo ventesimo. 463

per amor tuo, o animo felice, mettendo il piede nella tomba rinnego superbamente quella filosofia timida e senza cuore, che nega ciò che non vede. Piuttosto che abbassare coi sensi la ragione umana, mille volte meglio sublimarla coll’immaginazione e col sentimento. Grazie, o Pisana, di quest’ultimo conforto che mi piove dall’alto dei cieli. Tu sola potevi tanto sopra di me. Non credo, non ragiono, ma spero. —

Quand’ella fu tornata in sè, l’Aquilina le domandò se voleva che si chiamasse un prete, perchè la religione assicurasse viemeglio la meravigliosa serenità del suo spirito.

— Oh sì! — rispose ella sorridendo mestamente. — A mia sorella dorrebbe assai di sapere ch’io fossi morta senza prete!

— No, non parlar di morire! — soggiunse l’Aquilina; — i conforti della religione aiutano anche a vivere secondo la volontà del Signore.

— Vivere o morire è lo stesso dinanzi a lui — riprese con voce tranquilla e solenne la Pisana; — poi rivolse a me una lunga occhiata di speranza. Io mi asciugai gli occhi furtivamente, e nel rivolgermi all’altro lato vidi mio cognato e i due ragazzi che contemplavano maravigliati e quasi invidiosi quella forte moribonda. Tutto spirava intorno a quel letto pace e grandezza; e io pure finii col credere che non si trattasse di altro che della separazione di pochi anni; non assisteva ad una morte disperata ma ad un mesto ed amichevole commiato. Venne Lucilio, che tastò il polso e sorrise alla morente come volesse dirle: partirai fra breve, ma in pace. Egli pure credeva. Venne da ultimo il prete, col quale la Pisana s’intrattenne a lungo senza cinico disprezzo e senza affettata divozione. Contenta com’era di sè non le fu difficile persuadersi d’essere in pace con Dio; e i primi funerali, che si ce-