Pagina:Le dicerie sacre.djvu/19

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10 La Pittura

stessa sia grande, l’argutia nondimeno l’eccede; e cotali è fama, che fussero l’opere particolarmente di Timante. Giudicio poi, e prudenza non meno, ch’ingegno si desidera nel Pittore, perche discretamente fugga gl’atti sconci, e dalle sconvenevolezze con sommo avvertimento si guardi. Così raccontasi, ch’Apelle ritrahendo il Rè Antigono, il qual d’un’occhio era scemo, lo ritrasse in fianco, accioche il difetto del corpo fusse à mancamento della Pittura attribuito. Ma tutto ciò non basta, percioche oltre l’ingegno, e ’l giuditio che son doni della Natura, alla perfettione dell’artefice, di cui parliamo, la cognitione della maggior parte dell’altre arti è ancora necessaria. Nella parte, che tocca alla sperienza, overo essercitio, dee l’egregio Pittore del continuo vigilando sempre meglio tuttavia nella sua facoltà avanzarsi, nè giamai dalle sue nobili fatiche cessare. Vuolsi essercitare senza stancarsi, perche in cotal guisa facilitando à se stesso lo stile, e acquistandovi habilità maggiore, viene à raffinate la perfettione dell’habito. Che perciò il grande Apelle, come colui, che sapeva essere la teoria senza la prattica poco meno, che inutile, havea per uso di non passarne giorno senza linea. Nella parte finalmente, che appartiene alla diligenza, ò applicatione, dee l’accorto Pittore ogni studio impiegar nell’opere sue, e con ogni accuratezza limarle. Non già ch’elleno habbiano con sì fatta industria à leccarsi, che ne riescano ricercate; Imperoche non vogliono esser polite con istento, ma agevolate con franchezza, ò quando pure stento vi sia, non hà egli da apparire, anzi sotto una artificiosa negligenza da nascondersi. Quinci il mede-